NEL GRANDE INCENDIO

NELLO SPAZIO   NEL TEMPO   NELLA PAROLA   NEL CORPO


I

Astronomia.

Astronomia è la parola che ingoia tutte le parole


<Coro>
Amen

Due corpi si attraggono in misura direttamente proporzionale al prodotto della loro massa e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.

<Coro>
Amen

Se non avete capito fa lo stesso. Tanto accade così comunque.

<Coro>
Amen

Tutto ciò che accade, cade. E tutto ciò che ha peso, preme verso il proprio centro, che continuerà a sfuggire. Non esiste il centro. Il centro non c'è. Un inseguimento infinito, sfinito. Sia pace ai miei movimenti, sia pace alle mie parole, sia pace alla mia carne, sia pace ai miei pensieri. Se non ora, comunque tra breve.

<Coro>
così è e così sia. Così sempre sarà.

[attacco loopcave]

Questo nostro incontro potremmo chiamarlo: nel tempo breve. Oppure: nel grande incendio. Dal latino incendere, dove il suffisso in- ha valore di intensificazione, e candere significa bruciare. Candido, puro, bianco accecante, incandescenza. Il sole, la distruzione, la vita che pulsa, cresce e si decompone. Il sole, la creazione, la vita che erompe, palpita e si decompone. Il sole, il grande incendio, la trasformazione. La vita che passa e non ritorna più. Non ritorna più. Non ritorna più. La vita che passa, depone tracce e si cancella.

<Coro> [falsetto]
la vita che passa, depone tracce e si cancella... la vita che passa, depone tracce e si cancella... la vita che passa, depone tracce e si cancella...

La vita, il suo nucleo fragile e irrequieto, inafferrabile dalle forme. La cosa veramente diabolica e maledetta della nostra epoca, è l'attardarsi sulle forme, invece di sentirsi come condannati al rogo che facciano segni attraverso le fiamme.

<Coro> [no falsetto]
consacratevi interamente a ogni istante, come se doveste spegnere un fuoco che vi divampi tra i capelli...

Mi vengono i brividi se penso che il mondo in un giorno ruota su se stesso. Follia di essere continuamente consapevoli che la terra gira su se stessa, sospesa nello spazio, senza alto né basso, solo un vasto vuoto, brulicante, inimmaginabile...

<Coro> [falsetto]
follia della terra che gira su se stessa, follia della terra che gira su se stessa, follia della terra che gira su se stessa...

Temo ci sia un malinteso, qui io non sto recitando, sono presente, non sto interpretando parole altrui, non sto facendo cultura o spettacolo, e se vi dico che mi sento smarrito sotto questo cielo pervaso di fornaci stellari, non sto scherzando. La vostra vita, la mia vita, quella disseminata nell'orizzontale gioco delle passioni umane, della misera tenace sopravvivenza, dell'avidità e della menzogna, della pochezza e della grandezza, quella dei vostri e dei miei soldi, pochi in verità, almeno i miei... è tutto un equivoco... tempo sottratto all'unico capitale che abbiamo, il tempo stesso, il tempo che ci plasma e divora... e finiremo sotto terra, polverizzati o cenere, dispersi nel vento e sciolti nell'acqua, senza avere capito nulla, senza aver attraversato i confini estremi dell'universo, senza aver toccato quanto ci è più vicino, senza aver fatto altro che consumare e consumarci... ....dio... ...solo potessi dare concretezza di corpo e pensiero a questa parola svilita, dio, a questo assalto ai limiti, per tanti secoli masticato con timore e tremore, con ardore e rapimento, a questa somma ignoranza fatta suono e lettera: dio... questo tripudio della nostra piccola intelligenza, questo slancio dimenticato...

<Coro> [falsetto]
follia dell'universo che si espande, follia dell'universo che si espande, follia dell'universo che si espande...

In media ogni cittadino di un paese "ad alto sviluppo" produce 507 chilogrammi di rifiuti all'anno. E quante tonnellate di pattume verbale? Quante tonnellate di pattume verbale?

<Coro> [Andrea, grave]
azzeramento del pattume verbale... azzeramento del pattume verbale... azzeramento del pattume verbale...

[attacco Carluccio, contrabbasso]

Qui stiamo celebrando un mistero. La parola mistero è una parola precisa. Le parole sono più tenaci delle pietre. Le parole sono astri spenti che mandano messaggi di luce. Basta sapersi predisporre all'ascolto. In un'antica lingua della Mesopotamia, 'Mus' significa notte... Il mistero è una celebrazione che si compie durante la notte. Perché si compie di notte? Perché di giorno la luce del sole oscura il cielo stellato, cancellando il firmamento, ingoiandolo dietro lo smalto dell'azzurro. Perché soltanto di notte si vede, soltanto al buio si vede, soltanto di notte si può celebrare il mistero della visione, il mistero della vastità... (E se ci sono le nuvole? Una piccola beffa planetaria, un'occasione mancata per la visione, uno sforzo in più per l'immaginazione, che deve traforare quella coltre per accedere agli spazi interminabili attorno a noi, a tutti quei punti di luce che sono gigantesche bombe atomiche in esplosione continua, in fusione ciclopica...)

<Coro> [falsetto]
follia della mia bocca che vi parla... follia della mia bocca che vi parla... follia della mia bocca che vi parla...

In mezzo al grande incendio accade di essere colti da un sussulto di balbuzie, perché il tempo rimasto è breve, perché si crede di aver visto e sentito molto, perché si sa di aver capito poco. Pensateci: il sole è generoso e non lo sa. La distanza tra noi e lui è quella giusta. Qualche chilometro in meno e sarebbe tutto deserto incandescente, irrespirabile, feroce, in spasmodica fusione. Qualche chilometro in più e sarebbe tutto gelo mortale, ghiaccio a ricoprire l'intera crosta della terra. In mezzo al grande incendio del tempo e del sole, ci coglie la balbuzie, a volte, di soprassalto, come una belva che ci paralizza. L'incanto e l'abbaglio delle forme ci ha lasciato insaziabili, inafferrabili a noi stessi, sospinti avanti, senza tregua, sempre altrove, insoddisfatti, inarrestabili. In mezzo al grande incendio viene spesso una grande voglia, una terribile voglia: quella di prendere fuoco, di prendere fuoco il più presto possibile, di non ricordare più nulla, di non preoccuparsi più di nulla, di non lasciare alcuna traccia, di scomparire come fumo, di scomparire, dissolti nel vento.

<Coro>
incendio luce calore... incendio luce svanire...

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II

[Francesca, dilatato]
Vi racconto una fiaba che conosco, una fiaba che disegna il cammino del nostro universo... Sin da piccola mi son chiesta perché di notte comparissero nel cielo quelle piccole luci tremule. Mi son sem-pre chiesta il perché della luna, delle sue fasi, della sua luce. Come facesse a restare là sospesa, sen-za cadere sulla terra. Così ho scoperto l'astronomia. E poi ho scoperto che anche i primi uomini, gua-dagnata la posizione eretta, in virtù di certe modificazioni della colonna vertebrale, circa un milione, un milione e mezzo di anni fa, hanno cominciato ad alzare lo sguardo al cielo. Ho scoperto che questi primi astronomi dipingevano sulle volte delle caverne scene di caccia oppure costellazioni, animali che rappresentavano animali e animali che rappresentavano costellazioni. Ho scoperto che la regolari-tà dei fenomeni astronomici ha fornito loro il modello di leggi eterne e immutabili, un primo barlume di pensiero astratto. La civiltà poi si è rinchiusa nelle case e nei palazzi, la civiltà non ha fatto che accen-dere luci, accendere luci artificiali che hanno allagato le nostre notti, cancellando la percezione verti-ginosa di essere immersi nel buio. Abbiamo potuto gettare però il nostro occhio a distanze abissali, abbiamo cominciato a comprendere molte cose. Che nulla è immobile. Nulla è immobile. Che le stelle sono fornaci di gas incendiati. Che 100 miliardi di queste stelle formano una galassia, la nostra via lat-tea. Che nell'universo a noi conosciuto esistono miliardi e miliardi di questi ammassi di stelle e piane-ti, e la luce viaggia alla velocità di 300 mila chilometri al secondo, ogni secondo 300 mila chilometri. E non si ferma mai, non si ferma mai.

[attacco di macchina ritmica-esplosione]

[Andrea]
Tutte le galassie si allontano in maniera uniforme, tutte le galassie si allontanano a velocità folle l'una dall'altra. 15 miliardi di anni fa tutte le galassie erano così vicine da essere un unico punto di materia incandescente, un unico punto di energia incandescente. Una densità mostruosa, un peso incalcolabile, un peso che schiaccia preme e brucia. Un peso che incendia lo spazio, che inghiotte la materia, che inghiotte il tempo, che inghiotte la luce. Un punto di inizio. Un punto impensabile. 15 miliardi di anni fa c'è stata, in quel punto, una gigantesca esplosione dello spazio, un'eruzione di materia caotica, schizzata con forsennata violenza in ogni direzione, fino a formare, milioni e milioni di anni dopo, con un progressivo raffreddamento, l'universo che si configura ai nostri occhi.

[stop macchina ritmica-esplosione]

C'è una legge misteriosa, eppure semplice, che pervade questo universo, che domina tutti i punti dello spazio e del tempo: la legge di attrazione gravitazionale, per cui la materia tende a raccogliersi, ad avvicinarsi, a comprimersi; per cui la terra ruota intorno al sole, la luna intorno alla terra, e noi stiamo attaccati alla sua superficie e dobbiamo spendere molta energia per liberarci della sua presa, per saltare in alto e volare via, per uscire dall'atmosfera e galleggiare nel vuoto.

[riattacco macchina ritmica]

Un solo gas, la maggior parte dell'universo è formata da un solo gas, l'idrogeno. Per effetto della gravità l'idrogeno si addensa in nubi, per effetto della gravità le nubi si comprimono, per effetto della compressione le nubi si surriscaldano, sempre più calde, sempre più calde, fino a scatenare processi di fusione nucleare, sempre più calde, esplosioni torride e continue, incendi sferici e ruotanti, che sono le stelle, il nostro sole, luce e calore. Le stelle più grandi hanno vita più breve, l'alta compressione gravitazionale le urge a consumare più rapide il loro combustibile, arrivando spesso al limite della loro attività con vulcaniche esplosioni, scagliando nello spazio il prodotto della loro violenta trasformazione, che ha visto l'idrogeno formare elementi più pesanti, come l'azoto, il carbonio, l'ossigeno, il ferro... Cosi nascono i pianeti, da frammenti di stelle morte, de-flagrate.

[stop macchina ritmica-esplosione]

<Coro> [Francesca e Alessandra, lento...]
dalla materia germoglia un occhio... dalla materia germoglia un occhio... dalla materia germoglia un occhio...

[smarrito]
Riuscite a pensare questo tragitto? Nubi di gas incendiati, esplosioni, trasformazioni, milioni e milioni di anni, incontri e scontri, e dalla materia germoglia un occhio capace di guardare se stes-so, di giudicare se stesso, di indagare dentro se stesso.

[chitarra, suoni rarefatti, in crescendo melodico]

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III

[continua chitarra, su Alessandra]

[Alessandra]
Ci fanno credere che un giorno siamo nati, mentre nasciamo continuamente, continuamente ve-niamo alla luce, continuamente subiamo il trauma e lo stupore del parto. Ci fanno credere che il mondo è stato creato una volta per tutte, che c'è un primo inizio delle cose, e poi tutto prosegue per inerzia, quasi stanco, in un'interminabile replica, e invece è continuamente in opera una crea-zione che fermenta, un ribollire delle cose, un'instabilità pulsante della materia, dello spazio e della luce. Il miracolo non è un'eccezione, il miracolo è che le cose siano, che le cose accadano, e la cecità è non capire questo, è non sentirlo, è non provare a balbettare una parola di slancio ai limiti del pensiero, di umiltà. La modestia è sempre falsa. Essere modesti vuol dire non sollevare lo sguardo, stare dentro il modus, la misura, le abitudini che ci sono state imposte. C'è una bella differenza tra umile e modesto. Umile è colui che sa di essere humus, terra, polvere, materia fria-bile, fragile, effimera. Non per questo i suoi occhi, i suoi sensi, il suo pensiero, si trattengono nei limiti di ciò che le abitudini umane chiamano: modestia. Questa è cecità, è mancanza di coraggio, è mancanza di gioia traboccante. Ogni istante, ogni atto, odora terribilmente di creazione appena avvenuta. Siamo noi che ci ottundiamo, che ci stanchiamo di chiedere e vedere, di domandare e sapere. E poi finisce, tutto finisce - finisce la possibilità di chiedere e vedere, di toccare e sentire, di gustare e contemplare - e ritorniamo nel grande flusso senza più specchio di lingua, nel grande flusso anonimo, senza più riflesso di pensiero. Polverosi e morti. Senza parola, senza più stupore.

Spiegatemi soltanto perché una pietra cade quando è lanciata dall'alto; chiaritemi questo feno-meno così semplice, e vi perdonerò di essere dei moralisti, quando sarete fisici migliori.

[stop chitarra]

[Alessandra, sussurrato]
Possibile che della creazione che intorno e dentro di noi si rigenera a ogni istante, ardente, spu-meggiante e luminosa, non sentiamo né vediamo nulla? Sentire un milione di anni in un lampo, spazi vastissimi al di là dello smalto del cielo, dell'orizzonte schiacciato della geografia umana - tutto questo è quanto ci è concesso al di fuori del regno animale, lo capite?! È l'unica attività che ci distingue, spalancandoci ad altro da noi, a ciò che si sottrae al dominio dell'utile - mangiare cacare riprodursi vestirsi lottare comandare obbedire.

[intervento, contrabbasso]

[Francesca]
Vi rendete conto che tutto quello che facciamo lo facciamo perché è utile? Ci avete mai pensato, vi siete mai soffermati su questa enorme banalità? Ma se dobbiamo restare nella gabbia dell'utile, sono meglio strutturati gli animali, che non hanno impedimenti di coscienza, nevrosi, ansie, guer-re interminabili, ipocrisie, lentezze, pentimenti... Sono piantati a terra, immersi nell'acqua, sospesi nell'aria, a loro agio tra gli elementi materiali del mondo, con rarissime incertezze, senza devia-zioni nel superfluo, senza vanità di parole.

<Coro>
senza vanità di parole... senza vanità di parole... senza vanità di parole...
[Andrea]
La gente studia per noia, prega per noia, si innamora, si sposa e si riproduce per noia, e infine muore di noia e tutto con la faccia serissima, senza capire perché, e convinti Dio sa di cosa. Tutti questi eroi, questi geni, questi sciocchi, questi santi, questi imprenditori, questi padri di fami-glia... dovremmo toglierci le maschere una buona volta, allora vedremmo dappertutto, come in una stanza di specchi, solo quell'unica, vecchissima, infinita, indistruttibile testa di caprone, nien-te di più niente di meno. Dormire, digerire, fare figli... le altre cose non sono che variazioni dello stesso tema in diverse tonalità.

<Coro>
indistruttibile testa di caprone... indistruttibile testa di caprone...
[Federico]
Ci vorrebbero parole che si innalzassero come muri di refrattarietà, come bastioni di difesa contro l'imbecillità, parole di intolleranza consapevole nei confronti della volgarità, delle idee riciclate, delle opinioni mostruosamente sensate, parole capaci di suscitare con potenza la vergogna più devastante in chi le ascolta...

[contrabbasso percussivo]

la vergogna è un sentimento fuori moda, un sentimento vilipeso, e invece dovrebbe essere un pa-trimonio gelosamente custodito da ogni comunità civile. L'errore suscita la vergogna, la vergogna impedisce la ripetizione. Ma la civiltà non è che un condominio isterico, la sua architettura non prevede pilastri solidi e coerenti, soltanto materiale di seconda qualità, per consentirne la conti-nua sostituzione mercantile, i crolli strutturali e le ricostruzioni, la mancanza di memoria e la ripe-tizione... vergogna... la civiltà è una lunga sequela di imprese edilizie di pessima qualità, spesso intenzionalmente di pessima qualità... vergogna... ci vorrebbero meno case e più parole contro le parole, meno strade e più parole dolci e feroci, come bestie che sbranano i suoni della mediocrità, del pattume verbale che si riproduce senza sosta...

[stop contrabbasso percussivo]

[Alessandra]
Carne da macello e da mercato.

[tema parodistico]

Vi racconto la parabola di un viandante, un viandante che guarda scorrere il tempo e si interroga sulla saggezza divina. Si domanda: perché esiste l'uomo? - Ma in verità in verità vi dico: di che cosa avrebbero dovuto vivere il contadino, il bottaio, il ciabattino, il medico, il commercialista, il banchiere, il verduraio, il becchino, se Dio non avesse creato l'uomo? Di che cosa avrebbe dovuto vivere il sarto, se egli non avesse impiantato nell'uomo il sentimento del pudore? di che cosa il soldato, che è il gradino più basso della specie umana, se egli non lo avesse provvisto del biso-gno di farsi ammazzare?

[stop tema parodistico]

In verità in verità vi dico che ogni cosa terrena è vana, persino il denaro va in putrefazione.

<Coro> [tutti, crescendo, verso falsetto]

[intervento contrabbasso, archetto]

affrettati, il tempo è denaro, e il denaro è sangue, e il tempo trasforma il sangue in polvere...
affrettati, il tempo è denaro, e il denaro è sangue, e il tempo trasforma il sangue in polvere...
affrettati il tempo è denaro, e il denaro è sangue, e il tempo trasforma il sangue in polvere...


[Francesca]
Ci vorrebbe un gran silenzio, altro che parole, altro che musica, ci vorrebbe un silenzio che fer-masse le labbra e la lingua di interi popoli, per anni e anni, prima di spillare dalle bocche parole non usurate, nuove parole, vecchie parole, parole sentite, parole che curano, parole di gioia, pa-role germogliate dal silenzio vastissimo dell'universo, parole di vento, di polvere, di fuoco, parole intrise del buio degli spazi interstellari, parole abitate dal brivido che squassa la colonna verte-brale, ogni volta che avverte il cigolio della terra che ruota su se stessa, parole emerse dal gelo profondo, parole pronunciate dal freddo delle bocche dei morti, sottoterra, parole incendiate, pa-role fragili e necessarie.

[attacco chitarra, motivo Kurosawa]

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IV

Siete passati davanti a un cimitero, qualche volta, vero? Avete costeggiato i muri del camposanto, dentro ci sono tutti quei lumini, quelle lastre di marmo, quei cipressi, quelle bocche vuote delle tombe in attesa... Avete veramente pensato il luogo che stavate sfiorando? Avete pensato lo spa-zio e il tempo che vi restano? E chi fa scongiuri, chi considera queste parole grevi e cupe, chi ri-dacchia con superiorità e scherno, come al solito non ha capito niente.

<Coro> [Andrea]
a questo mondo niente dura. Per tutti noi la morte è l'unica cosa sicura...

[Andrea]
A volte mi sembra già di puzzare come il mio cadavere. Mio caro corpo, voglio tapparmi il naso e fi-gurarmi che tu sia una donna che suda e puzza a furia di ballare di ballare di ballare, e dirti galante-rie, farti la corte, sedurti, carezzarti... Fortunati quelli che possono ancora ubriacarsi. Domani sarò una bottiglia vuota, il vino sarà stato bevuto, ma io non mi sarò preso una sbronza. E andrò a letto sobrio e freddo. Senza svegliarmi mai più. Io non tornerò più, capito?! Non tornerò più!

[Francesca]
Avrei voluto morire diversamente, senza nessuna fatica, come cade una stella, come si spegne una nota... morire... eppure c'è qualcosa di serio in questo. Voglio riflettere una buona volta. Tut-to può vivere, tutto, quel moscerino là, quell'uccello, i pesci nel mare... Perché allora io no? Tutto si muove, gli orologi vanno, la campane suonano, la gente corre, l'acqua scorre, e poi... voglio sedermi a terra e gridare, voglio che tutto per lo spavento rimanga fermo, tutto si arresti, non si muova più nulla.

[grido elettronico saturo + stop chitarra, Kurosawa]

[Alessandra]
Togliete di mezzo l'imperfetto, il negativo, la morte, la violenza, la schiavitù, la stupidità... solo allora potrete dimostrare Dio.
Si può anche negare il male, con l'ausilio della dialettica, ma non il dolore; solo l'intelletto freddo e matematico può dimostrare Dio, il sentimento vi si ribella. Perché soffro? Perché? Riflettete sul corso del vostro tempo, sulle vostre ore e sui vostri minuti, quando vengono invasi dal dolore, dalla sua forza schiacciante che non ammette repliche, che svuota come pallidi cadaveri tutte le argomentazioni possibili, che dissolve ogni gesto e parola di consolazione, che respinge ogni sollievo. Riflettete sul dolore di un malato terminale, cui nessuna dose di morfina riesce a conce-dere una tregua. Il dolore è preciso nel misurare il tempo, spacca anche il millesimo di secondo. Il minimo fremito di dolore, in un uomo, una donna, un bambino, una pianta, foss'anche soltanto in un atomo, apre uno squarcio da cima a fondo nella creazione.


<Coro> [tutti]
dobbiamo sopportarlo e basta, dobbiamo sopportarlo e basta, dobbiamo sopportarlo e basta...

[attacco chitarra, motivo Kurosawa]

[Federico]
Secondo la fisica contemporanea, l'infinitamente piccolo, gli atomi, le particelle, le radiazioni, la luce, l'elettricità, la materia, tutto quello che tocchiamo e vediamo, tutto quello che neppure sap-piamo, tra una stella e l'altra, dentro le stelle, sulla terra, nei nostri corpi, nei nostri pensieri, è formato da corde minuscole di pura energia che vibra, tutto l'universo come una gigantesca sin-fonia, un'enorme macchina ronzante, una geometria esplosa, semplice e incomprensibile... e do-ve li metti il dolore le grida i gemiti i pianti soffocati le paure gli orrori in questa diabolica simme-tria matematica? Perché l'ammirevole semplicità descrittiva del pensiero scientifico non riesce a dare ragione della complessità mostruosa del dolore, della violenza? Dio, in tutto questo, dove sta?

[motivo di Lara- Zivago, due voci femminili, poi le maschili, sul parlato]

[Andrea]
Alcune considerazioni generali sulle grandi rivoluzioni della storia e sul corso attuale del capitali-smo, vi convinceranno che noi non siamo più crudeli della natura. La natura segue tranquilla e ir-resistibile le sue leggi, e l'uomo viene annientato là dove entra in conflitto con esse. Un cambia-mento nelle componenti dell'aria, un divampare del fuoco tellurico, un cedimento nell'equilibrio di una massa d'acqua, una pestilenza, un'eruzione vulcanica, un'inondazione, seppelliscono mi-gliaia di uomini. Qual è il risultato? Un insignificante, nel complesso quasi impercettibile muta-mento della natura fisica, se non vi fossero cadaveri sul suo cammino. Un banale problema di sta-tistica. La rivoluzione era un'idea. Anche il capitalismo non era che un'idea. Entrambe son diven-tate pratiche, la prima più effimera, la seconda più solida e tenace. E a un'idea non dovrebbe es-sere consentito, al pari di una legge della fisica, di distruggere ciò che le si oppone? Che importa se gli uomini muoiono per una pestilenza o per la rivoluzione? per una speculazione finanziaria o per l'apertura di un nuovo fronte di mercato, che so, per lo sfruttamento del petrolio, del legname, dell'acqua, di corpi da gettare sulle strade e prostituire? Che importa se la nostra è una società palesemente fondata sul sacrificio umano? Ogni elemento di questo teorema, applicato alla realtà, ha ucciso la sua parte di uomini donne bambini e animali. È solo un banale problema di statistica. Perché ribellarsi se non serve a niente? Chi si oppone a qualcosa ne fa parte. Punto.

Chi si oppone a qualcosa ne fa parte. Punto.

Ho detto punto!

[stop motivo di Lara-Zivago]

[Federico]
La situazione politica del mio tempo è opprimente, mi vergogno di essere uno schiavo tra gli schiavi... Eppure ho abituato i miei occhi al sangue. Sapete dirmi cos'è che in noi mente, uccide, ruba, stupra? Non me la sento di seguire questo pensiero fino in fondo. ...

<Coro> [Alessandra e Francesca, acustico]
devi affidarti alla tua collera...

[contrabbasso, ritmico]

L'unico terrorismo che si dovrebbe praticare è un terrorismo esistenziale, il solo che potrebbe es-sere efficace, salutare. Il terrorismo politico o religioso, oltre ad essere ignobile, non è efficace, perché la paura che genera può anche sottomettere i corpi e le menti, ma si rivela presto o tardi un'arma che esplode tra le mani dell'attentatore. Il profondo terrorismo esistenziale dovrebbe sa-perci ricordare che ogni istante è l'ultimo, ogni istante è l'ultimo, che la morte è sempre vicina, la morte è sempre vicina, dentro e accanto a noi, la scheggia di tempo che ci è concessa è una gemma preziosa. La consapevolezza fisica di dover morire, diventerebbe così un grande dono, qualcosa capace di allentare la morsa delle passioni tristi, delle paure, delle frustrazioni, delle mi-serevoli ambizioni che ci divorano il fegato. Il corpo deve capire la morte.

[stop contrabbasso]

<Coro> [Andrea]
non ho alcuna voglia di morire e sono in salute come non mai.

[di nuovo contrabbasso]

[Alessandra, scandendo le parole, sfiatando + interventi di Federico e Francesca]
Vi rendete conto che siete a testa in giù sulla curvatura di questo pianeta che va alla cieca nel co-smo tutto nero e gelato, con quelle catastrofiche luci delle povere stelle che mandano i loro raggi nello spazio deserto, per nessuno, per niente? Vi rendete conto di che cos'è la respirazione? Vasi sanguigni in tumulto, centri nervosi che vanno a mille, contrazioni di muscoli innervati, il torace che si espande, tubi che si ramificano e penetrano dentro i polmoni, detriti rimossi dai movimenti improvvisi del muco, particelle fagocitate da grosse cellule migranti, trecento milioni di alveoli in attività spasmodica... è questa la vita! Questo bruciare le sostanze che carpite dall'ambiente con la respirazione, la masticazione! È solo attraverso questa catastrofe che i vostri corpi riescono a carpire quella cosa che chiamate vita, su questo pianeta! È questo, solo questo il vostro rapporto elementare col mondo! Tutto il resto è venuto dopo.

[Francesca]
Vi rendete conto di che cosa state facendo in questo momento? I vostri organi si stanno consu-mando, stanno bruciando, come le stelle. Le vostre cellule stanno invecchiando, si stanno disi-dratando, ossidando. Senza mai fermarsi, secondo dopo secondo. State tutti morendo, qui, seduti al buio, in silenzio, da soli. Quando ve ne andrete di qui sarete più morti di quando siete entrati.

[bambino, registrato]

[chitarra, Kurosawa]

Poco tempo sulla terra, ma abbastanza per abituarsi.
Poco tempo per capire, ma abbastanza per abituarsi.
Troppo tempo dentro parole altrui.
Troppo tempo inseguendo il futile, l'emulazione.
Emulazione significa: imitare, copiare, replicare.
Emulazione significa: non ascoltare la propria solitudine, la propria irrimediabile solitudine.
Perché ribellarsi se non serve a niente?
Ma chi dice che ribellarsi dovrebbe servire...
Ascolta la tua solitudine, la tua irrimediabile solitudine.
La ribellione comincia da qui, la gioia comincia da qui:
ascolta la tua solitudine.

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V

[una tensione elettrica - noise dal finale]

[Alessandra]
La prima volta che ho fatto l'amore avevo diciassette anni mi piaceva da morire fare l'amore con lui anche se inizialmente provavo un grande senso di colpa verso i miei genitori credevo di delu-derli e morivo di vergogna al pensiero che potessero soltanto immaginarmi nell'atto di fare quelle cose se ci ripenso ora mi viene da ridere comunque sì mi piaceva sempre di più farlo con lui ma non era mai abbastanza spesso mi capitava di piangere alla fine di ogni volta piangevo dalla gioia era come un onda che sentivo crescere da dentro ed era troppo bello il mio primo orgasmo l'ho provato con lui non ero interessata al mio piacere quello che mi premeva di più era far godere lui adesso però molte cose sono cambiate e com'era naturale che avvenisse ho smesso di avere di-ciassette anni adesso forse se non godessi ogni volta che faccio l'amore rimarrei insoddisfatta ho imparato a prendere e non soltanto a dare credo che non riuscirei a rinunciare al sesso

<Coro>
i buchi sono l'infinito... i buchi sono l'infinito... i buchi sono l'infinito...

Il fatto semplice-sconcertante di essermi ritrovato uomo.
Potremmo stare come una pietra, riposare come una pietra, consistere della nostra posizione nello spazio e nel tempo, una volte per tutte, come una pietra, che sembra a casa ovunque sia. Eppure anche lei preme verso il centro, col suo peso, con la sua dipendenza da un punto concre-to nello spazio-tempo. Il mio sesso incontra un altro corpo, con gli occhi e con l'odore, con le immagini interiori e con le parole, con le mani e con la bocca, un altro corpo, le cui forme, i cui ritmi, le cui risonanze di voci e fiati, scatenano una tempesta chimica nel cervello, un temporale elettrico, una cascata di molecole nel sangue, improvvisamente saturo di adrenalina, di dopamina, di altre sostanze senza nome, pompate a mille dal muscolo del cuore. Il mio pezzo di carne sfida l'inerzia e la gravità, s'inturgida si espande si alza, sfida la disgrazia del peso, diventa duro, e tra-scina verso altre disgrazie, verso le cavità e il calore di un altro corpo, dove la sua tensione vuol essere sciolta in ondate di schiuma e piacere. E a te, che cosa accade a te? Il fatto semplice-sconcertante di esserti ritrovata donna, tutte quelle mucose bagnate, quelle gambe divaricate, quegli umori che colano, quelle labbra umide e calde e odorose, quei seni e capezzoli che si inturgidano, quei buchi da cui passa l'infinito, da cui passa la vita, da cui passa il piacere...

<Coro>
i buchi sono l'infinito... i buchi sono l'infinito... i buchi sono l'infinito...

[si aggiunge progressivamente onda elettronica - da monitor]

[Francesca]
Ruminavo tutto da sola. Ero ancora una bambina. Ruminavo e bruciavo dentro di me. I pensieri che scoprivo erano un sole caldo dentro il mio corpo, un sole che ruminava e bruciava. E un gior-no arrivò la primavera; ovunque intorno a me accadeva qualcosa a cui non partecipavo. Mi ritro-vai in un'atmosfera particolare, che quasi mi soffocava. A quel tempo veniva in casa un giovane; era bello e diceva spesso cose folli; non sapevo bene cosa volesse, ma non potevo fare a meno di ridere. Mia madre gli chiese di venire più spesso, a noi due andava bene. Alla fine non capivamo perché non avremmo potuto stare altrettanto bene tra due lenzuola, piuttosto che uno di fronte all'altra su due sedie. Ci provai un piacere ancora più grande che alla sua conversazione e non vedevo perché mi si volesse concedere il minore e sottrarre il maggiore. Lo facemmo di nascosto, molte volte. In modi che non avrei neppure immaginato. E continuò così, a lungo. E io diventai come un mare, che inghiottiva tutto e si agitava profondo, sempre più profondo. Per me tutti i corpi erano la strada maestra del mio piacere. La mia natura era così, chi può sfuggirle? Alla fine lui se ne accorse. Un mattino venne e mi baciò, come se volesse soffocarmi; le sue braccia mi si avvinghiarono al collo, mi prese una paura indicibile. Poi mi lasciò andare e rise e disse che era stato sul punto di commettere una sciocchezza; e che non mi voleva rovinare il divertimento, che in fondo era l'unica cosa che avevo... Quindi se ne andò; ancora una volta non avevo capito che cosa volesse. Una sera me ne stavo alla finestra; sprofondavo nel rosso del cielo, nelle onde del tramonto. A un tratto giù in strada arrivò un gruppo di persone, davanti correvano i bambini, la donne guardavano dalle finestre. Anch'io guardai giù: lo stavano trasportando in una cesta, la lu-na splendeva sulla sua fronte pallida, i suoi riccioli erano bagnati... si era annegato. Non potei fa-re a meno di piangere. Fu l'unica frattura nella mia esistenza.
Gli altri hanno giorni festivi e feriali, lavorano sei giorni e pregano al settimo, o comunque si ripo-sano, si commuovono una volta all'anno per il loro compleanno e magari riflettono anche, una volta all'anno. Io non lo capisco questo modo di fare: io non conosco rotture, mutamenti. Io sono sempre e soltanto una sola cosa; un bramare e afferrare ininterrotti, una corrente continua, un fuoco, un fiume. Mia madre è morta d'angoscia; la gente mi mostra a dito. È stupido. Tutto quanto ci dà gioia si riduce in fondo a una sola cosa: corpi, immagini di Cristo, fiori o giochi per bambini; è il medesimo sentimento; chi più gode, più prega.


[Andrea]
Adoro l'estate, il frinire delle cicale, la luce che trabocca nel paesaggio, che fa pulsare le forme, è come se il sole covasse lussuria. Non verrebbe voglia di strapparsi di dosso i calzoni e di accop-piarsi per didietro come fanno i cani?

[stacco dell'onda e del noise]

Non capisco perché la gente non si fermi in mezzo alla strada a ridersi in faccia.

[Carluccio, cantata + chitarra]
Voglio bere vino rosso, vino buono vino rosso, e fottere a più non posso... Voglio bere vino rosso, vino buono vino rosso, e fottere a più non posso... chi più gode più prega...

<Coro> [acustico, liturgico, tutti]
chi più gode, più prega - chi più gode, più prega - chi più gode, più prega... Amen.

[noise + onda, attacco secco]

Oh, sì, sì, adesso va proprio bene, sì, continua a spalmare dolcemente, dentro di me, quella cosa, in-filaci pure un altro dito, anche tutta la mano, se vuoi. Ecco, mi allargo ancora di più, per te, solo per te, muovi la mano là dentro come se fossi a casa tua, tasta pure le sue pareti, tutt'intorno, a tentoni, come quando arrivi in una casa nuova e deserta, la tua casa, e non sai ancora dove sono gli interruttori della luce e vai in giro così palpando le pareti, con gli occhi chiusi, sorridendo da solo, prima di intercettare il primo interruttore e poi un altro, un altro ancora, e tutta la casa si illumina improvvisamente di fronte ai tuoi occhi, tutte quante le camere, una dopo l'altra, le pareti, i soffitti, e tutto appare e si accende e si presenta ai tuoi occhi e ti accoglie. 'Sei arrivato a casa tua, finalmente!' Il nostro respiro si allarga, la nostra voce sale. Non curarti del resto, il resto è solo quello che vedono gli altri, il resto è rumore di fondo.

[Francesca]
L'estate riscalda la terra, il calore della terra nutre le radici, il calore del sole corre lungo le viti, il grande incendio matura l'uva, e viene il giorno in cui tutto questo si raccoglie, l'uva incendiata fermenta nelle botti, il succo dell'uva dentro una bottiglia, dalla bottiglia cola nella bocca, dalla bocca inonda il sangue e la carne, il sangue del sole monta come rugiada nella testa, il sangue del sole trabocca nel cervello, e ogni goccia di rugiada solare ti fa svenire, ti fa danzare...

[breve crescendo dell'onda, poi stacco secco di noise + onda]

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VI

[Andrea, microfono effetto "scatola", radiofonico...]
Astronomia è la parola che ingoia tutte le parole.

Vi chiediamo gentilmente di togliervi le bende. Guardate il cielo.

[intervento in sala, sul pubblico, per le bende]
[attacco loopcave]

[Federico]
Sapete darvi anche solo una prima spiegazione di come tutto questo sia accaduto, di come tutto questo stia accadendo? Polvere-materia che si incontra e avvinghia nella stretta dell'attrazione gravitazionale, si addensa e comprime, fermenta e surriscalda, esplode e fonde, fornaci stellari sprigionano luce e calore, tutta questa danza immane, spirali ellissi e fughe, muraglie di gas ai li-miti estremi del visibile... che rumore fa il sole mentre si consuma, mentre ci plasma e ci consu-ma? avvicino l'orecchio al sole, e la testa divampa senza più frasi, senza eco di lingua, senza consolazione di intesa effimera - nello sguardo, nell'abbraccio, nel grido di battaglia... avvicino l'orecchio al sole e l'incendio ingoia tutte le parole, ingoia tutte le parole.

[Andrea, c. s.]
Astronomia è la parola che ingoia tutte le parole.

[Federico]
C'era un tempo in cui le parole non esistevano ancora. Ci sarà un tempo in cui le parole non esi-steranno più. Fra cinque miliardi di anni il sole collasserà, esploderà nel buio, si raggelerà di se stesso, sfinito. Canterà vibrando fino all'ultimo quanto, fino allo zero assoluto, e nessuno raccon-terà questa festa, nessuno spettatore. Non ci saranno testimoni. Non ci sarà nessuno.

[Federico + Andrea, in simultanea]
Per adesso la combustione divampa giorno e notte. La chiami sole, quella combustione, ti abitui al suo nome, e questo è un vizio, abituarsi è un vizio, un oblio che spegne, una smemoria che sal-va. Lancia onde di luce e di calore, il sole, verso il grumo di terra che calpestiamo. Un incendio che non sembra mai perdere il controllo. Noi siamo troppo brevi, siamo troppo lenti, per capire. Punto la piramide del mio sguardo contro tutta quella matematica devastante. Non guardare il sole! mi urlano. Il sole non si guarda mai direttamente! Perché devo continuare a fare filtro, a gio-care di sponda, a occuparmi di altro, delle ombre, delle mezze tinte? Non mi si dica che perdo la vista, se guardo il sole in faccia. Che cosa sto facendo, giorno dopo giorno, sonno dopo sonno, cacata dopo cacata, sperma dopo sperma, silenzio dopo silenzio, se non perdere la vista? Che cosa diventiamo se perdiamo il controllo di tutto? che cosa diventiamo se vogliamo tenere tutto sotto controllo?

[Francesca e Alessandra, in simultanea]
Io mi chiedo e chiedo anche a voi: se qui stiamo celebrando un mistero, il mistero evidente del cielo stellato e vasto, il mistero torrido del grande incendio, il mistero della nostra fragilità, che cosa ci regala questo mistero? che cosa ci regala?

[stop loopcave, coda grave]

[Carluccio + chitarra]
Voglio dirvi una parola gentile: vi auguro buona permanenza.
E buonanotte, buonanotte infinita...

ninnananna infinita
ninnananna della mia vita

bottiglia sì di vino rosso
che scolo giù a più non posso

fatevi cullare lasciatevi andare
svenire nel buio e basta parlare

svenire nel buio e basta parlare
svenire nel buio e basta parlare

[noise, 30 sec.]



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