DYNAMIA

Teatro Comandini di Cesena
19-22 febbraio 1998



L'ombra sonora del sole
Appunti per un dialogo diabolico sul ritmo

Ich selbst muß Sonne sein: ich muß mit meinen Strahlen
Das farbenlose Meer der ganzen Gottheit malen

Io stesso devo essere sole: io devo con i miei raggi
L'incolore mare dell'intera divinità pitturare

Angelus Silesius

La parola continua. La parola discreta. Già questo incipit è la cattura di un ritmo e l'esibizione di un'aporia in atto. Uno spettacolo di risonanze, che mette in gioco, al contempo, attivo e passivo. Paratassi ossimorica, piuttosto che additiva; congiunzione che non copula; congiunzione che balbetta. Ripenso all'occasione orale che fa da motore a quanto scrivo. Potrei dire a chi mi ascolta: mi trovo a parlare parole e non specificamente ad emetter suoni, a proiettare immagini, a plasmare forme nello spazio e nella durata. L'ovvio di questo parlare parole mi fa indugiare. Si è tentati di spiegare qualcosa, di spiegarsi questa esitazione, quasi ci si fosse mai piegati o impiegati, quasi si dovesse scontare, per mimesi e nemesi, una presunta interiorità inesplicabile, fortezza vuota dell'ermetismo soggettivo, piccola morale e dimora di Narciso. L'indugio sembra paralizzare. La paralisi incatena alla sedia. Sitzfleisch, stare seduti. Nietzsche rimproverava la stanzialità borghese e nichilista di questa affermazione di Flaubert: "on ne peut penser et écrire qu'assis"; contrapponendogli, come valore costruttivo, "ergangenen Gedanken", pensieri che camminano, pensieri che nascono camminando. Sitzfleisch: carne seduta, flaccida, depauperata dell'atletismo minimo indispensabile allo spirito, al corpo che vive e pensa inspirando ed espirando aria, all'anima che non è altro che un vento che ci attraversa, un soffio dentro e fuori, dentro e fuori, fino a cancellare l'illusione della soglia.

Ascolto l'attrito della parola nei miei polmoni, le vibrazioni indotte alle corde vocali, quelle trasmesse all'aria circostante e, talvolta, nei luoghi molteplici di un altro corpo vivente. La lingua cammina. E malgrado le intenzioni cammina senza meta. No hay camino, hay que caminar... E allora, anche se spesso, ultimamente, le parole mi si sciolgono in bocca, come i funghi ammuffiti della "Lettera di Lord Chandos", ricordo che questo disfacimento è sempre corpo e materia, che questa astrazione solubile è potenza, nel duplice senso di aristotelica dynamis e di conatus spinoziano: occasione apertura disponibilità, da un lato; passaggio incessante desiderio espansivo attenzione, dall'altro. L'astrazione è sostanza tossica e farmaco, ma a prescindere dal segno in cui si declina, la sua essenza e il suo destino sono alimentari, di solido riportato a fluido. L'astrazione è parassitaria, sua peculiarità è di trovarsi nei pressi del cibo. Se è così, soffermarsi su eventuali assiologie triviali testimonia soltanto della mediocrità storica - dell'impotenza compiaciuta - di chi se ne voglia far carico.

Digiuno. Silenzio. La parola continua è tentata dall'eco di se stessa, da una moltiplicazione speculare che satura l'ambiente verso il rumore bianco. La parola continua si abbaglia della propria luce riflessa e alla minima incrinatura quello sguardo è Medusa. Caccia mortale, come quella di Atteone: l'inseguitore diventa inseguito, il predatore è divorato. I cani del desiderio si rivoltano contro se stessi. Mordono l'osso fino al midollo, come in Kafka, e il midollo non è alimento ma veleno. Come la sapienza del sole, come la sua involontaria e terribile generosità: autocombustione. In una delle Upanishad è scritto: quando si parla non si può respirare e quando si respira non si può parlare. La parola continua è questa apnea. Il vortice vertiginoso e vuoto di Hofmannsthal è la sintesi di più di duemila anni d'apnea. La disciplina esicastica dei padri del deserto, in una tabula rasa senza ombra di ombra, rappresenta l'exemplum più estremo di materialismo. Pensiero del corpo che riprende fiato. Parola discreta. Già, perché al flusso ininterrotto, alla radiazione devastante, al virus interno-esterno, si può contrapporre, come sollievo e rifugio e controtempo e sorriso, come pausa ritmica e territorio abitabile, soltanto un muro di parole, un muro di suoni, un muro di gesti: la danza del derviscio, i mantra, lo dikr, l'orazione demente, le corde intrecciate - tutta la geografia del corpo dell'eremita è rivoluzione permanente; tutta la sua economia energetica è sottratta al dominio dell'utile. Utile, da ‘uti': usura dell'abitudine strumentale, consumata dai mezzi, sfinita. La quiete apofatica, il silenzio, l'immobilità apparente non corrispondono ad un metafisico zero kelvin. Sono piuttosto rumore di fondo, vibrazione residua: non coerceri maximo, contineri minimo divinum est. Girotondo pressoché impercettibile, archetipo di ogni cammino. Nomade che non ha più bisogno di spostarsi, perché pura intensità, velocità assoluta, modello di ogni viandante. Le strutture formali che sottendono fede e rivoluzione convergono: la credenza è un fuori assoluto, è l'esteriorità problematica contro il sapere come monologo interiore, come discorso del Tutto organico. "Tutte le vie sono circolari...".

Scarnificato il monologo interiore - questo diabolico dialogo con se stessi, questa Legione caotica del molteplice - resta l'attenzione vuota, priva di intenzionalità, sottratta al giogo dell'oggetto. Ascesi non si identifica con rinuncia, intesa come sublimazione. Ascesi è la forma formans del desiderio, la sua immanenza: esercizio, sperimentazione, disciplina, ricerca. Non si interpreta, si gioca. Non si ricorda o progetta, niente speranza o timore, nessuna colpa o rammarico a marcire nelle fibre della carne. L'ascesi, e non il piacere, è il modello del desiderio, la sua linea di fuga, il suo imperativo etico-estetico. Il principio del piacere ingenera la meccanica frustrante e servile di stimolo e risposta, di tensione e rilassamento, di possesso e mancanza. Non al suo opposto, ma come insieme che ne ingloba la dinamica negativa, sta l'ascesi, il cui limite ad infinitum si configura come indifferenza nei confronti della meta, simile in questo allo stile parziale del perverso, che vaneggia e vanifica i fantasmi della totalità. Il mistico il filosofo l'artista lo scienziato l'atleta il folle l'artigiano il bambino l'animale - e molti altri, ancora, dediti con estenuato rigore, con naturalezza lieve, alla metamorfosi necessaria; pochi, pochissimi, invero - si riconoscono, spesso senza saperlo, in questa comune idiozia, in quest'altro sintagma ossimorico che mi viene a visitare e che ravvede nella singolarità nuda il ripetersi felice della differenza. Involontariamente felice, come la generosità del sole. Amor fati. "La meta del viandante è conforme al suo modo di procedere... Ogni viandante inevitabilmente reca su di sé la traccia dei suoi stati e gli effetti della mescolanza dei mondi tra di loro; occorre, tuttavia, che egli proceda fino alla tappa della Saggezza divina, che - solo esteriormente - si conforma alle norme abituali. L'infrazione alle regole, a quel punto, si tramuta per il mistico in un segreto e si trasforma in una vera e propria abitudine che non lo abbandona. Allora, non cesserà di ripetere a ogni respiro: "Dì: Mio Signore, accrescimi in conoscenza!", fino a che il cielo comincerà a girare al ritmo del respiro, e ogni istante coinciderà esattamente con un respiro".

Per entrare nel ritmo con l'ausilio della parola, da simile a simile, bisogna dimenticare la natura artificiosamente segnica del linguaggio, il suo avvilimento iconico imposto da secoli di sordità chirografica e tipografica; bisogna ricordarne l'esplicita ed implicita oralità; bisogna riaccordare vibrazioni e suoni al cavo della bocca, alle mucose, alle cartilagini, alle fibre polmonari, all'aria che entra ed esce, al cibo ingerito ed espulso, al muscolo del cuore in sistole e diastole, al sangue che scorre caldo fluido e denso; bisogna risalire il percorso di una sedimentazione che ha pietrificato la lingua, riducendola a morto indice, a mano amputata, a objectum visibile su una superficie piatta; bisogna scrostare questa nuova e ormai già vecchia decrepita superstizione.

"Dabar", in ebraico, è "parola" ed "evento", ma anche "ordine" e "azione". In genere per tutte le culture orali, quanto maggiore è la distanza dal supporto tecnologico che può conservare traccia dei suoni articolati, tanto maggiori sono il prestigio della parola, la sua potenza, la sua forza, la sua efficacia. Quello che una voce pronuncia è immediato realizzarsi: canto lode comando verità - manifestazioni fisiche al pari del corpo che le accompagna, con le sue posture, i gesti, le situazioni di cui è parte. Anche l'oracolo non riflette un semplice avvenimento predeterminato, ma contribuisce al suo accadere. Non si dà alcuna distinzione filistea ed esangue di teoria e prassi. "L'uso di ‘prattein' - che si riferisce anche alla parola efficace - è riservato ad un'azione naturale il cui effetto non è un oggetto estraneo ed esteriore all'atto che lo ha prodotto, ma questa stessa azione nel suo compimento". Il rapporto di immanenza dinamica del Verbo arcaico con ‘agere' potrebbe essere la nostra prima, e forse più esaustiva, definizione del ritmo. Ma simili al van Gogh di Antonin Artaud, siamo malati d'infinito, di parola continua, che insegue e sfugge la parola discreta, "come l'ombra di ferro del mottetto di un'antica musica inenarrabile, come il leitmotiv di un tema che dispera del proprio soggetto". Così, ci facciamo avviluppare da altre lusinghe, da altre risonanze, obbligati lungo l'orbita ellittica e ludica che ci riporterà, forse, a transitare da questo punto.

La cultura orale appartiene al tempo e al divenire, più che allo spazio e all'immagine. E la centralità della funzione mnestica per la trasmissione del sapere rende indispensabili strutture ricorsive a grande contenuto ritmico, che si adattino alla fisiologia dei processi respiratori, che plasmino le cadenze della frase secondo simmetrie e ridondanze, per facilitarne l'apprendimento: il ritmo garantisce l'archivio vivente della comunità. Ma è anche, più generalmente, la struttura che sottende il divenire stesso. La cronologia pura e oggettiva, mensurale, scandita da calendari e orologi di ogni sorta, è la conseguenza di un processo di scarnificazione, di una deriva quantitativa del vero a priori che è rappresentato dal tempo ritmico, ovvero dal tempo qualitativamente connotato in ragione degli eventi che vi accadono, della loro cadenza, del loro valore sociale: sono la religione e la magia a creare questa mappa dinamica che si sottrae ad una linearità vettoriale implacabile e indifferente, marcandola di segmenti che prevedono accelerazioni e rallentamenti, ritorni periodici e circolarità, maggiori o minori gradazioni intensive (feste, rituali quotidiani, riti di passaggio, lavoro, guerra, amore, gioco). Le unità di tempo si trasformano in unità ritmiche, all'interno delle quali possono esservi equivalenze e diversità, mai uguaglianze meccaniche. Per lo stesso motivo in poesia il parametro ritmico include il metro, ma non si riduce ad esso; e neppure in musica, dove è un elemento melico non necessariamente sottoposto alla legge dell'isocronia e dipendente invece dall'agogica: trasporto e caso, interpretazione e movimento. "La rappresentazione del tempo è essenzialmente ritmica... nel lavoro, nella poesia, nel canto il ritmo è il segno dell'attività collettiva, con tanta maggior forza marcato quanto più estesa ed intensa è la collaborazione sociale... il ritmo del tempo non ha necessariamente per modelli le periodicità naturali constatate dall'esperienza... le società avevano in se stesse il bisogno e il mezzo di istituirlo". Sarà il libero gioco della riflessione speculativa a permettere il viaggio a ritroso, dalla storicità concreta alla singolarità astratta della percezione ‘pura': Schelling, che ravvisa nel ritmo l'essenza della musica, come aspetto più originario delle leggi che sottendono l'architettura fluida del cosmo, come forma che trasfigura la materia allo stato bruto (il suono); Hegel, che assegna alla musica il ruolo e il destino di epifania della temporalità interiore, i cui parametri di misura e ordine permettono l'autocoscienza dell'io, l'immagine di sé come totalmente altro da una continuità indeterminata: "esso non ha una vera e propria identità fino a che non raccolga i momenti sparsi della sua esistenza e operi un ritorno su se stesso"; Hölderlin, che avrebbe affermato: "tutto è ritmo, tutto il destino dell'uomo è un solo ritmo celeste, come ogni opera d'arte è un ritmo unico, e tutto oscilla dalle labbra poetanti del dio...". L'oscillazione del cosmo, l'altalena delle stagioni. L'etimo di ritmo rimanda alla radice ‘sreu', scorrere. La spiegazione a lungo invalsa sulla genesi del termine lo riconduceva all'osservazione delle onde del mare, al loro movimento permeato da una parvenza di regolarità. Le acque di questa nascita putativa sono l'oceano instabile dell'ignoto, il suo pericolo che ci assedia, il suo rischio che ci lusinga e seduce. Sono il liquido amniotico che ci culla e ci riveste, filtrando le pulsazioni meccaniche del battito del cuore e i movimenti articolari di chi ci ospita e ci nutre, traducendo in fiaba di lontananze il rombo sonoro del mondo. Poi si è gettati all'aperto, alla luce, che però sono freddo e oscurità, dolore e mancanza. Paura. Come il bambino che passa accanto al muro del cimitero e ripete a se stesso una filastrocca, così il Ritornello che si ripete nel buio è un'andatura calma e stabile che forma un centro nel buco nero del caos, è il Ritmo che crea l'Ambiente. Come nella cosmogonia vedica, in cui dalle regioni assolute della morte il silenzio prende a vibrare e la vibrazione assume un ritmo e i ritmi diventano un tappeto di suoni, piani che si intersecano l'un l'altro, fino ad assumere forme visibili e luminose. "Gli ambienti sono aperti nel caos, che li minaccia di esaurimento o di intrusione. Ma la risposta degli ambienti al caos è il ritmo. Ciò che vi è di comune fra il caos e il ritmo, è l'intervallo (entre-deux) fra due ambienti, ritmo-caos o caosmos... Il caos non è il contrario del ritmo, è piuttosto l'ambiente di tutti gli ambienti...".

La fonazione del bambino nei primi mesi di vita è istigata dalla rottura degli equilibri omeostatici (vuoto nella bocca e nel tubo digerente, mancanza di latte e assenza del seno; venir meno, con il sonno, del controllo a livello del sistema nervoso e corticale) e dipende dall'espulsione del cibo, dal percorso dell'espirazione, strutturandosi così sulla sinusoide della ripetizione e assumendo parametri ritmici che sono espressivi, per misura ed intensità, delle pulsioni orali ed anali. Il ritmo impone le proprie ‘astrazioni' agli sfinteri. La cifra del ritmo è somatica ed ecologica: nessuna valenza simbolica, mimetica o linguistica. Sul ritmo, al contrario, andranno ad innestarsi le figure della comunicazione segnica, marcate per lo più proprio dalle sue dinamiche. E ritmati restano infatti "i modi di comunicazione più intimi, le ninnenanne, le danze di guerra o d'amore", così come la sintassi quando si piega al gioco della poesia. Ritmato è il ‘coinvolgimento arcaico' che opera nelle tecniche dell'ipnosi, con impercettibili oscillazioni del corpo, con spostamenti e alterazioni del ritmo respiratorio, che producono un'attenzione selettiva non generata da richieste verbali, ma correlata alla comunicazione analogica di un atteggiamento. "Le parole dei nostri discorsi di tutti i giorni sono soltanto magia attenuata", scriveva Freud agli albori del trattamento psicoterapeutico. Il suono articolato e significante si staglia sul caos del rumore pulsionale. Il ritmo è il tempio del tempo, crudeltà che si afferma sull'anarchia dell'indistinto. Se la metafora è l'autoironia del linguaggio, si potrebbe passare questa immagine: il ritornello come ‘fonema' della lingua ritmica ovvero della differenza.

"I bambini prima si accorgono del ritmo e dell'energia dei movimenti, e soltanto in seguito del tempo come tale... il tempo è soltanto ciò che stava scritto sulle meridiane: ombra del sole...".

Al di là del principio del dispiacere: il sorriso del bambino con la madre, increspatura d'onda sulla superficie della pelle, hilaritas spinoziana che mette in risonanza gli ambienti, sensualità affettiva dei corpi. Si scongiura, per poco ancora, la fittizia separazione di soggetto e oggetto, verificando che comunicare può essere osmosi e movimento comune, emozione e commozione, partecipare e toccare, prima di morire e risorgere sub specie cadaveris nella formula della tele-trasmissione, della dialettica che si affanna a mimare la totalità con la bacchetta magico-maldestra della sintesi. Dialettica, confusione rassicurante. Schiuma astratta senza sorriso. Per i pitagorici l'occhio emetteva raggi e tentacoli con cui sondava il mondo esterno. Natura aptica dell'ottica, orientamento tattile nel visibile. Lo sguardo, una carezza.

Al di là del principio del piacere: nada. Che non è humour edonistico e neppure mistica annihilatio occidentale, ma il nome di una teoria musicale indiana. Se l'idea di armonia dell'antica Grecia si basa sulla metafora della condizione di equilibrio mantenuta da una corda tesa, il ‘nada' prevede un suono ininterrotto che emerge lentamente dai meandri della mente, attraversando a spirale le vie del corpo umano, sostenuto e spinto dall'energia calda dell'essenza vitale interna. Non si tratta più di accordare opposte tensioni - l'alternarsi di consonanza/stabilità e dissonanza/instabilità; il succedersi binario di arsi e tesi, levare e battere. Forme sintattiche e suddivisioni perdono valore, a vantaggio di forme organiche, seriali, dinamiche e continue. La partitura non è traccia mnemonica costellata di segni discreti, ma un disegno paradossale di Escher. La corda tesa si distende, si intreccia nel microcosmo del corpo, si fa tessuto di vento: la musica è respiro vitale che si manifesta.

"Since naught so stockish, hard, and full of rage
But music for the time doth change his nature."

Il cervello codifica le informazioni provenienti dall'esterno in impulsi ritmati dalla sua attività elettrica. "I messaggi si traducono quindi in ritmi, una sorta di danza dei neuroni". Per questo motivo i fenomeni di transe possono venir scatenati da una risonanza con gesti e balli rituali a ritmo ripetitivo, che stimolano la produzione di neurotrasmettitori capaci di contribuire alle alterazioni degli stati di coscienza. Stati che comunque non devono attendere il trascorrere dall'uno all'altro per essere afferrati da fremiti e oscillazioni: "ogni ambiente è vibratorio, ovvero è un blocco di spazio-tempo costituito dalla ripetizione periodica della componente". Così la mente feriale, solida come la terra su cui si cammina, mondana e diurna, quantitativa e progettuale, avida e ansiosa, pulsa normalmente al ritmo delle onde cerebrali beta. L'immersione nelle regioni fluide del sonno e del sogno, ma anche la concentrazione meditativa, rispondono ai cicli delle onde alfa, che rallentano il corso delle parole e delle immagini, che sgranano la tessitura del reale, restituendo sapore al sapere; e via via, allargandosi nei cerchi sempre più ampi dei raggi theta e dei raggi delta, si va dalla contemplazione all'estasi, dalla visione rapita alla metamorfosi sciamanica.

L'emisfero sinistro del cervello, il cosiddetto ‘dominante' - logica ragione matematica scrittura linguaggio analisi - sembrerebbe ospitare anche la percezione dei paradigmi ritmici. Eppure altre caratteristiche musicali, come tonalità timbro armonia, sono appannaggio della parte destra, alla quale spettano riconoscimento e immaginazione visiva, creatività, sintesi, sogni, simboli, emozioni. Che il ritmo sia il ponte dinamico tra estensione quantitativa e intensione qualitativa? Che sia, anche a livello di sottoinsiemi dell'anatomia e della funzionalità cerebrali, l'intervallo di risonanza tra continuo e discreto?

I 24 fotogrammi al secondo della proiezione cinematografica corrispondono alla frequenza dei raggi alfa. Se il cinema è la mummia del movimento, la sua potenza espressiva, iscritta sulla pelle pellicola e sprigionata dalla meccanica di riproduzione, è in grado di duplicare il tempo secondo la corrente alternata di explicatio e complicatio. Ma questo dio che vede ascolta e corre raramente dispiega il campo magnetico che lo attraversa, avvilito com'è dalla logica sociale della mediazione. Orson Welles - corrispondendo alla preoccupazione di Antonin Artaud rispetto a un cinema che non pensa ancora, che non pensa il suo corpo (necessità di evitare i due scogli dello sperimentale astratto e del figurativo commerciale) - insegna la magia che fa confluire i piani surrettiziamente separati di contenuto forma arte e vita: dall'ossessione per l'invecchiamento e per i fenomeni di entropia degli artefatti umani, trattata sempre con aristocratica sprezzatura e tenerezza di bambino; ai molteplici registri in cui si declina l'occasione mondana dell'opera: epico lirico ironico prosaico giornalistico fiabesco; ai dispositivi tecnici e linguistici impiegati come strumenti di cattura dei vettori del tempo, sottratto al dominio ottuso del principio di realtà. Sinestesia vorace che capta ovunque le modulazioni del divenire. "Io cerco il ritmo esatto tra un'inquadratura e la seguente. È questione di orecchio, la fase di montaggio è il momento in cui il film ha a che fare con il senso dell'udito... È senso del ritmo, tutto lì. La vera forma di un film è musicale". E poi c'è il fermo immagine. Una pausa che non si arresta. Il ritmo disegna la mappa del tempo, lo si legge sulla tua faccia: the other side of the wind.

Questo testo è un labirinto, almeno per me che lo sto tracciando. Anche il labirinto - quello dell'orecchio, intendo - forse non è nient'altro che la colata lavica di un ritmo. Roccia vulcanica e metamorfica. Torre di Babele intarsiata di linee vocali che si inseguono, come un'arte della fuga senza Maestro né Dio. E il labirinto di Cnosso potrebbe esser stato costruito al ritmo del flauto, con "le catene di manovali e muratori che osservavano scrupolosamente gli ordini loro impartiti". Si provi a pensare alla nostra architettura quotidiana, alla rigidità percettiva suggerita dagli ambienti urbani. Le si pensi come tempo scolpito, come onda lunga della geologia umana. Come danza congelata di forze in eccesso. Come dismisura misurata della danza. Come energia attuale, soltanto ai nostri occhi assopita. Come corpo anonimo che pulsa e vive. Si abbracci questo pensiero quando la brutalità del mondo ci afferra.

"O body swayed to music, O brightening glance,
How can we know the dancer from the dance?"

Prima di Platone e Aristotele la parola ‘rythmòs' non designava quello che noi chiamiamo ritmo. E il suo etimo, a differenza di quanto a lungo si è creduto, non ha alcun riferimento con l'osservazione del moto regolare delle onde marine. Termine tecnico del pensiero atomista di Leucippo e Democrito, connotava una delle relazioni fondamentali che si stabiliscono fra i corpi: la forma. Ancor prima, per i poeti lirici, la variante ‘rysmòs' definisce "la forma individuale e distintiva del carattere umano", l'umore, le inclinazioni. Ma a differenza di altri sinonimi (come ‘skèma', ‘morphè', ‘eidos') ‘rythmòs' "designa la forma nell'attimo in cui è assunta da ciò che si muove, da ciò che è fluido; la forma di ciò che non ha consistenza organica". La stessa costruzione in (th)mòs di per sé fa riferimento al carattere dinamico della nozione in oggetto, di cui non viene sottolineato, genericamente, il realizzarsi, "ma la particolare modalità di realizzazione". Si recupera così la prima sorgente verbale ed eraclitea, ‘sreu', scorrere (e ‘rythmòs' significava letteralmente ‘particolare modo di scorrere'), dispiegandone il potenziale effettivo, ovvero il declinarsi dell'idea di forma sincronico-spaziale nei processi diacronici, caratterizzati da disposizioni o configurazioni prive di stabilità, momentanee, improvvisate. Soltanto con Platone e Aristotele, appunto, l'orizzonte semantico del termine si restringe alla forma e alla misura del movimento, con riguardo specifico al corpo umano che danza.

Se il sapere è sapore, l'amore del sapere è amore dell'amore. Ma la filosofia ha dimenticato di (poter) esser parola felicemente ridondante, tautologia del ritmo immanente. Nella sua versione di pulsazione regolare, di ripetizione ordinata, il ritmo è "pensiero che resiste a qualsiasi sviluppo, è pura resistenza: a rose is a rose is a rose...", rifiuto di definire, testardo rifiuto di spiegare e definire. Definitivamente vuoto. "La musica è l'arte più scevra di pensieri, e perciò la più dolce... Mi manca qualcosa quando non sento musica, e quando la sento, allora sì che mi manca qualcosa".

Il ritmo nell'opera è la sua arte degli incontri. L'individuo persiste nel divenire grazie alla composizione momentanea delle velocità dei suoi elementi costitutivi. E di essi con gli ambienti che abita e attraversa. Da cui è abitato e attraversato. L'estetica confluisce nell'etica: arte degli incontri è il ritmo che ci attrae, gioia comune come transizione a potenze maggiori di essere e di fare. "Si tratta di mantenere a distanza le forze del caos che bussano alla porta. Manierismo: l'ethos è al contempo dimora e maniera, patria e stile".

Stile, dal latino stilus, pugnale: crudeltà e morte, ma anche pungere, stimolo, linea tracciata sulla tavoletta di cera, arabesco della mano. Il ritmo della scrittura incide nella carne, silenzioso. Si diviene ciò che si pensa. Siamo il fiume o il letto del fiume?

"E come vermi e insetti girano dalla mattina alla sera in cerca di cibo, così noi corriamo sempre dietro alla forma".

La fuga incessante delle cose. Quando l'informe ti assale, il ritmo diventa l'utopia del tempo.

Che ritmo può avere la morte del mio piccolo amico, a undici anni, sbiancato dentro dalla leucemia? E il cancro che ha devastato a lungo al seno e alla gola mia zia, che ritmo conferiva all'orologio del suo cuore? E alla sua parola che usciva dal buco della laringe? E che ritmo avevano le mie lacrime perché ci ha lasciato, si è lasciata, non ha potuto fare altro che lasciarsi andare? E anche tu mi vuoi lasciare e piango e c'è ritmo in questo pianto, nelle rughe che solcano l'epidermide attorno agli occhi. Che ritmo hanno le mie parole quando non ascolto quello che dico? Che ritmo afferra il mio sangue quando arriva l'avvoltoio? Che ritmo ha il mio sguardo quando guardo dalla finestra verso l'alto? E quando guardo verso il basso? Che ritmo ha il mio sperma quando non entra in nessun orifizio, ma si perde tra le dita e per terra? E il mio fiato, quando le scale mi fanno ansimare, quando le scale non mi fanno pensare? E le mie risate, quando metto la mano in tasca e non trovo un soldo? E i miei succhi gastrici, quando il giorno ridiventa giorno? E il mio passo, quando inciampo, perché distratto pensavo al ritmo? Zen è un quartiere di Palermo. Una cosa seria. E queste parole sono ormai troppe. Davvero.

Die Sonn erreget alls, macht alle Sterne tanzen:
Wirst du nicht auch bewegt, so ghörst du nicht zum ganzen

Il sole provoca ogni cosa, ogni stella fa danzare:
se non sei mosso anche tu, non appartieni al tutto

Angelus Silesius

Parafrasi sinottica dell'intera filastrocca: la voce del sole richiama alla danza e se tu non sei commosso, di te il ritmo farà senza. Finisco con Angelus Silesius, come ho iniziato. Per chiudere la cornice. Per fingere il lusso di una conclusione. Per rassicurare chi legge, forse. Per rassicurare chi scrivere. Perché è un Angelo che Tace e i suoi messaggi, in fondo, non dicono nulla. E neppure in cima. E neppure alla superficie. Perché due è numero diabolico. Perché entre-deux è l'intervallo del ritmo. E perché, come aveva capito Kafka, Don Chisciotte è proiezione di Sancio Pancia, suo demone errante, split-brain sotto mentite spoglie: scisso scisso tondo - come danza il mondo - come danza il mio corpo - che non è rotondo. Ho una farfalla in testa che non mi fa pensare. Sbatte le ali sbatte le ali e il suo sbattere non è mai uguale. E il suo sbattere è il mio volare. Il mio finire.

Federico Nobili

dedicato a Claudia Castellucci
in occasione di
dynamia
socìetas raffaello sanzio


Principali testi frequentati saccheggiati o compulsati:

Baruch Spinoza, Etica
Detti dei Padri del deserto
Detti e fatti dei Padri del deserto
La saggezza del deserto
Giorgio Agamben, L'uomo senza contenuto
Ibn al-'Arabi, L'epistola delle luci
Antonin Artaud, Eliogabalo o l'anarchico incoronato
Antonin Artaud, Van Gogh il suicidato della società
Bandler-Grinder, I modelli della tecnica ipnotica
André Bazin, Che cos'è il cinema?
Maurice Blanchot, L'écriture du désastre
Maurice Blanchot, L'entretien infini
Émile Benveniste, Problemi di linguistica generale
Cristina Campo, Gli imperdonabili
Carlos Castaneda, The teachings of Don Juan
Erri De Luca, Aceto, arcobaleno
Gilles Deluze, Difference et répétition
Gilles Deleuze-Félix Guattari, De la ritournelle in Mille plateaux
Gilles Deleuze-Félix Guattari, Qu'est-ce que la philosophie?
Carlo Delfrati, "Amadeus", voce Ritmo
Marcel Detienne, I maestri di verità nella Grecia arcaica
Emily Dickinson, Poesie
Umberto Eco, Estetica medioevale
Enciclopedia Europea, voce Ritmo
Encyclopaedia Brittanica, voce Rhythm
Milton Erickson, Opere, vol. I, La natura dell'ipnosi e della suggestione
Enrico Fubini, L'estetica musicale dal settecento a oggi
Witold Gombrowicz, Ferdydurke
Hugo von Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos
Ernst Jünger, Il libro dell'orologio a polvere
Franz Kafka, Racconti
Søren Kierkegaard, La ripetizione
Julia Kristeva, Costrizioni ritmiche e linguaggio poetico
Federico Garcìa Lorca, Il duende
Lamberto Maffei - Adriana Fiorentini, Arte e cervello
Angelo Marchese, L'officina della poesia
Marcel Mauss, Studio sommario della rappresentazione del tempo nella religione e nella magia
Marshall McLuhan, Il villaggio globale
Hermann Melville, Bartleby lo scrivano
Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica
Giampiero Mosconi, Teoria e pratica della psicoterapia ipnotica
André Neher, L'essenza del profetismo
Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli
Walter J. Ong, Oralità e scrittura
Ruggero Pierantoni, L'occhio e l'idea
Donatella Restani (a cura di), Musica e mito nella Grecia antica
Lewis Rowell, Paradigmi per una mitologia comparata della musica
Erika Scandone, La transe
Alberto Savinio, Nuova enciclopedia
William Shakespeare, Il mercante di Venezia
Angelus Silesius, Il pellegrino cherubico
Ronald Shone, Visualizzazione creativa
Henry David Thoureau, Camminare
Upanishad
Paul Valéry, Filosofia della danza
William Butler Yeats, La Torre
Robert Walser, I temi di Fritz Kocher
Orson Welles - Peter Bogdanovich, Io, Orson Welles
Elémire Zolla, I letterati e lo sciamano
Elémire Zolla, Aure

Ringrazio Aurelia Gennaccari, Alessandro Raffi e Giovanni Varoli per le loro osservazioni.



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