DELIRIODRADEK

Odradek non è una contaminazione. Nessuna malattia postmodernoperatoria. Tutt'al più è macedonia, spremuta e pezzi di (s)frutta-menti ludiche. Specchio delle mie (davvero?) brame. Il non-nato in disordine ottuso e fanciullosco. Peter Panico inafferrabile. L'improvvisazione che ci sorprende. La disciplina che (ci) irride e (ci) stupisce. Io non c'entra proprio. Non ha mai centrato. Sfilaccia le forme per esaltare lo stile e il ritmo. Ascolta l'invisibile. Chi? Odradek, non-Io. La cosa che si dice. Che tace e non muore. Odradek, il caos della serietà. Quella che non si copro-mette con l'adulto. Con l'impietoso impiccio economico dell'importante. Importante = vizzo, adulto = adulterato - professionalità inerziale incapace di godere. Noi, sprovvisti di tecnica, come Odradek di madre santa e carnale, marionette di legno impenitente, amiamo illuderci nella perversione di una bambina assente che no osiamo frequentare, feriti dalla bambola inanimata che non è. Svuotati dall'esperienza e dall'insonnia. Non maturi, bensì snaturati. E in quanto esperti, periti.

Che ci volete fare, se il malato è grave. Occorre pure che cada. A meno che la svagatezza della sua fede disumana non lo renda esente da pedaggi newtoniani... Guardarsi dalle mele che cadono: di solito sono marce. E due corpi che non volontà si attraggono con una forza che è direttamente proporzionale alla massa della loro miseria... È necessario saperlo. È necessario non saperlo. E, per l'appunto, Odradek non lo sa. Come Pinocchio, è incapace di sillabare l'alfabeto della misura - ecco perché entrambi sono sempre in fuga, ribelli all'ordine, refrattari all'interpretazione, velocità pura che si sottrae ad ogni "attività che consuma". Per non cedere. Degenerati dal padre, estromessi dal figlio che non si vuole essere, santi perché senza spirito - distanti dall'origine che culla al ritmo delle onde del mare, stanati dalla tomba del corpo afasico che grida consolazione.

Odradek, una riflessione concitata e parossistica sul dovere di non nascere, ovvero, una volta nati, sulla necessità e il buon gusto di morire dal ridere. Perché si ride sempre di una mancanza, e manca ciò che è necessario. Si ride sempre di un eccesso, ed è superfluo ciò che ti incanta. E allora ci si prende il lusso e il rischio di giocare con la forma, pur di non assolvere ai nostri - vostri: mostri! - doveri quotidiani. Perpetuamente altrove, come ad ogni risveglio, di volta in volta sempre più nefando e improbabile. Infantili, perché la nostra voce è incapace di pesare le parole. Paratassi e balbettio. Chi vuole entrare non bussi, e soprattutto, o grulli parlanti e non, abbiate il ritegno di prender congedo da voi stessi, di tanto in tanto. Almeno per la durata di ciò che non vi può appartenere, almeno per il riguardo nei confronti di ciò che non può riguardarvi.

Estromessi dalla nostalgia a colpi di humour, non ci rimane che l'insonnia malinconica del nostro perenne e infaticabile disfacimento. Addio. Ahinoi.

Compatiteci.

Federico Nobili



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