VIAGGIO INVOLONTARIO

Frammenti dal libro
a cura di Benedetto Gusano



Questo libro è stato stampato
per la quarta edizione di
Comunicare fa male
Fivizzano - luglio e agosto 1999



Lorenzo-Francisco Segalotto

CERCA DI CAPIRE




Dal lungomare di punta Righini, l'altro lato della baia che arriva a Rosignano appare di notte come un collasso di luci arrampicate nel vuoto, tra i miasmi della cloaca, fin dentro l'orizzonte del mare con il tronfio lurido collettore che alimenta la fabbrica di soda: allora mi prendeva piuttosto l'impressione d'essere in vista d'una Las Vegas geograficamente improbabile, ma stando al riparo e in qualche modo lontano da quello scempio monumentale.
A Castiglioncello l'aria casomai era satura del vapore che si scioglie, dal mare, sulle strade del paese, sbucciando l'asfalto, la vernice dei lampioni, l'intonaco delle facciate delle case e dei suoi abitanti: con il vento di libeccio, la forza abrasiva del salmastro si trasformava in una sorta di carta vetrata che andava sgrossando la pelle di tutto ciò che incontrava, senza operare distinguo.
Ero finito trapiantato in un paese ostile, trapassato in un presente che mi vedeva lontano in tutto, tra gente che percepivo inospitale, in una scuola che faceva di tutto per evitare la mia, seppur stupefatta, assidua frequentazione: mi sentivo preclusa ogni vicinanza d'intenti e per reazione spesso mi trovavo a naufragare il collo di qualche bottiglia strozzata sul lungomare. Cercavo di non perdere l'appuntamento d'una mareggiata, la punizione sotto forma di peeling di massa, lo spettacolo della giustizia, che s'imponeva in quelle giornate invernali, la democrazia d'un cieco come salamoia d'una scatola di sardine per l'intera comunità. Nei giorni che seguivano continuavo a investigarne i postumi sui volti delle persone, dove il trucco nero degli occhi si screpolava in piccoli grani bianchi o sugli abiti scuri dai quali risalivano a chiazze le sferzate di sale: l'umore scontroso della gente non trovava più la via, mi sembrava raggelato in cristalli e concrezioni incapaci d'arrivarmi. Camminavo allora tra le coste d'un baccalà salato grosso, investito da un odore che quasi riuscivo a masticare e passando distrattamente la mano sulle squame aperte ne percepivo netto lo sgranare sotto il palato.
Cominciavo anche a commiserare il mistero dell'intollerabile manchevolezza che attribuivo al pane toscano, sfornando qualche degna giustificazione anche per la resina dei pini ricurvi.
Un intero paese s'affannava di giorno in questo brodo primordiale per evitare lo scioglimento e di notte, tra le lenzuola conciate, scorticavano i sogni d'una pelle nuova.
Perché lo scirocco s'alternava in questa perpetua stagionatura dei tegumenti con effetti quasi opposti: l'arrivo del vento umido restituiva al paesaggio l'aspetto d'un paese lacrimato, scioglieva e rendeva oleose le scaglie di sale accumulate per sputarle in superficie trasudando da ogni poro. A piedi nudi, diventava una suola viscida, disadatta al paesaggio lunare degli scogli vetrificati ed erano le occasioni per sostare vaporizzato sul davanzale del rudere di Villa Celestina: m'ospitava, nella sua pelle scorticata, tra gli esemplari minerali più interessanti, gli occhi pieni d'un mare che saliva nell'immaginazione fin lassù.
Mi bastava allungare la lingua fuori dalla bocca per sentirne il sapore acuto, per saggiare di lassù, con precisione, quantità e vicinanza delle salomoniche onde: qualche tempo dopo avrei eletto queste pratiche anche alla misura del prossimo, leccando l'alito di molti per valutarne la sapidità a distanza.
Non c'è che dire, ero diventato un maestro, riconoscevo il grado di colpevolezza dal vapore d'un semplice ciao, non mi fregava nemmeno chi salutava accennando, se con la mano spostava aria a sufficienza.
Non molto tempo dopo, sul medesimo balcone, in un ventoso pomeriggio d'autunno, m'ero riproposto di spiegare a Teresa, una ragazza d'origini siciliane, la mia prima e per certi versi unica, quello che intendevo dire quando m'ostinavo a definirla dolce. Ma nulla, non ci fu alcun verso d'averla vinta, rideva fragorosamente come se tutto questo fosse strano e balzano; m'ero quasi offeso a quel punto e forse era quello che aspettava. Cominciò a baciarmi gli occhi, m'accarezzava pensosa e poco a poco, tra i baci s'era spogliata, aveva smesso di ridere e il cuore, lo sentivo, le batteva forte sotto la pelle mentre mi teneva stretto. Alzai lo sguardo un momento prima di sentir salire le sue mani incrociate sulla mia testa, mentre lentamente mi spingeva, lentamente sempre più in basso. Più tardi, nel silenzio, quando abbracciati di nuovo i nostri occhi si stavano salutando e la mia bocca sapeva ancora di lei mi disse quasi sussurrando "Lorenzo, cerca di capire".



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